Un condomino, proprietario di un appartamento provvisto di due ingressi autonomi, locava - nel corso del 1996 - una porzione della sua unità immobiliare, non creando peraltro alcuna opera muraria di suddivisione, ma separando la parte a sé riservata e la parte locata semplicemente con la chiusura a chiave di una porta dell'appartamento. Il condomino inoltre, a proprie spese, provvedeva a installare un altro citofono nell'appartamento di sua proprietà collegandolo all'impianto condominiale. In sede assembleare, discutendo sulla sostituzione del vecchio impianto citofonico, alcuni condomini hanno sollevato il problema relativo ai pulsanti, avendo essi constatato che il loro attuale numero è superiore all'originario numero delle unità immobiliari (altri condomini in epoca passata avrebbero suddiviso il loro appartamento in due abitazioni).
Il condominio può contestare la suddivisione dell'appartamento operata dal condomino? E' consentito a un condomino allacciarsi all'impianto condominiale per l'installazione di un altro citofono in aggiunta a quello in dotazione all'appartamento?
Elvira Colangelo - ROMA
A norma degli articoli 1102 e 1122 del Codice civile, il frazionamento di una proprietà esclusiva in due unità deve ritenersi legittimo nell'ipotesi in cui - come è nel caso del lettore - il frazionamento sia avvenuto senza opere rilevanti agli effetti condominiali e mediante la semplice chiusura di una porta. E infatti nell'unità frazionata non risultano essere stati installati né nuovi servizi igienici, né una nuova cucina, il che fa ritenere che il frazionamento non abbia comportato aggravamenti all'uso degli impianti e servizi comuni in danno degli altri condomini. Sempreché ovviamente il frazionamento non sia espressamente vietato dal regolamento contrattuale.
Anche l'allacciamento al servizio citofonico, a spese dell'interessato, deve ritenersi legittimo, a norma dell'articolo 1102 del Codice civile, tenendo conto che le spese di riparazione e manutenzione dell'impianto citofonico - in assenza di specifiche norme del regolamento condominiale - sono ripartite in parti uguali e cioè per ciascuna unità immobiliare, indipendentemente dalle quote millesimali. Il nuovo allacciamento all'impianto citofonico non deve ovviamente provocare danni agli altri condomini, a norma dell'articolo 1122 del Codice civile.
Nel condominio dove abito, un'impresa, nel corso dei lavori di ristrutturazione di un appartamento, ha ulteriormente danneggiato il già malandato e pericolante soffitto del vano scala. Il rifacimento del soffitto era stato deliberato dall'assemblea del condominio senza indicare l'importo della spesa prevista. Il condomino proprietario dell'appartamento e l'impresa, senza interpellare l'amministratore, hanno eseguito i lavori di ripristino emettendo regolare fattura per lavori eseguiti 'in economia'. Trattandosi di lavori non autorizzati, è possibile respingere la fattura e non eseguire alcun pagamento?
In caso contrario quali sono le modalità di contabilizzazione dei lavori?
Francesco Ceccarelli - MILANO
Se abbiamo ben compreso, il rifacimento del soffitto sarebbe stato eseguito da un condomino e dall'impresa che lavorava per lui, senza la formalizzazione di alcun appalto delle opere e solo sulla base di una delibera di massima dell'assemblea, che avrebbe genericamente affermato la necessità di rifare il soffitto del vano scale. Se così stanno le cose, il condomino può richiedere al condominio il rimborso delle spese fatte per la cosa comune senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, sempreché sussista l'urgenza delle opere e limitatamente a essa, a norma dell'articolo 1134, Codice civile.
Se invece l'assemblea ha assegnato l'appalto all'impresa, senza definire l'importo della spesa, toccherà all'impresa provare l'entità delle opere e il corrispettivo dovuto, tenuto conto che a norma dell'articolo 1657, Codice civile - dettato in materia di determinazione del corrispettivo dell'appalto - se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo, né hanno stabilito il modo di determinarlo, esso è calcolato con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi. In mancanza, il corrispettivo è determinato dal giudice.
In un condominio, data la latitanza dell'amministratore, un condomino esegue dei lavori 'urgenti' al lastrico di copertura e chiede il rimborso all'assemblea. Questo comportamento preclude di avvalersi dello sgravio del 36 per cento? Può il condomino dissenziente rifiutare il pagamento della propria quota in forza della mancata fruizione dello sgravio?
Luigi Ricciardi - NAPOLI
A norma dell'articolo 1134 del Codice civile, il condomino che ha fatto le spese per le cose comuni, senza le autorizzazioni dell'amministratore o dell'assemblea, non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente. In ordine al requisito dell'urgenza, devono ritenersi urgenti le spese che appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo danno alla cosa comune (Cassazione, 12 luglio 1976, n. 2665), fermo restando che a decidere la sussistenza dell'urgenza deve essere l'assemblea e non l'amministratore. Si tenga tra l'altro presente che, ove non sia riconosciuta l'urgenza, il condomino non può invocare i principi sull'arricchimento senza causa (Cassazione, 26 luglio 1960, n. 2141).
Per quanto concerne il beneficio della detrazione fiscale, ora del 36% - ai sensi della legge 27 dicembre 1997, n. 449, modificata infine dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388 - il beneficio può essere concesso, ove l'assemblea riconosca l'urgenza dei lavori e li faccia propri. Sempreché sia rispettata la procedura di cui all'articolo 1 del decreto ministeriale 18 febbraio 1998, n. 41. Sotto questo profilo, poiché gli adempimenti di cui si è detto devono essere fatti prima dell'inizio dei lavori, occorrerà tener conto di quando sono iniziati i lavori. Ove gli interventi non siano ammissibili al beneficio dello sgravio fiscale Irpef, è dubbio che gli altri condomini possano chiedere i danni per la mancata fruizione dei benefici, una volta che abbiano riconosciuto la sussistenza dell'urgenza.
In un condominio formato da due appartamenti al primo piano e uno del piano terra, senza tabella millesimale e senza regolamento condominiale, il proprietario al piano terra, dopo avere installato un contatore idrico, comunica agli altri condomini di voler pagare l'acqua in eccedenza in proporzione ai consumi rilevabili dal proprio contatore. Fino a quel momento le ripartizioni di questi consumi avvenivano in parti uguali.Gli altri condomini si oppongono e ottengono l'emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento in parti uguali dei consumi d'acqua. Il condomino a piano terra si oppone al decreto ingiuntivo e ricorrere al giudice di pace che rigetta integralmente l'opposizione al decreto ingiuntivo motivando come segue: mancato accordo tra le parti; regolamento di condominio formatosi per decorso del tempo e dei fatti precedenti (ripartizione in parti uguali); riferimento improprio all'articolo 1123 comma 2 'per uso potenziale si intende l'uso che di questo servizio si può fare. Esempio tipico è l'ascensore'. E' una giusta conclusione del giudizio? Cosa può ancora fare il condomino che pretende una ripartizione dei consumi d'acqua proporzionale alla effettiva utilizzazione?
Sergio Camporeale - MOLFETTA
Senza entrare nel merito della decisione del giudice di pace, i punti fermi per la risoluzione del caso sono, a nostro avviso, i seguenti: a) salva diversa disposizione del regolamento contrattuale, la ripartizione delle spese idriche deve essere fatta in base del criterio del diverso utilizzo a norma dell'articolo 1123, commi 2 e 3, Codice civile, e cioè, per le destinazioni abitative, in base al numero delle persone, ovvero in base a contatore; b) nonostante la disposizione dell'articolo 1123, comma 2, Codice civile, nel condominio del lettore le spese dell'acqua sono sempre state ripartite in parti uguali, in base a una prassi consolidata accettata da tutti i condomini.
Alla stregua di quanto sopra, è nota la consolidata giurisprudenza per la quale le tabelle millesimali di gestione possono essere adottate o modificate solo con l'unanimità dei consensi, sicché i condomini assenti o dissenzienti possono chiedere giudizialmente la nullità delle relative delibere a maggioranza. E tuttavia l'unanimità dei consensi può intervenire anche successivamente, con l'adesione di fatto dei condomini assenti o dissenzienti i quali accettino, per fatti concludenti, il criterio di riparto stabilito dall'assemblea. In questo senso si veda, tra le altre, Cassazione 17 ottobre 1980, n. 5593 e 19 ottobre 1988, n. 5686, per le quali il consenso unanime dei condomini può concretizzarsi anche successivamente alla delibera assembleare, mediante comportamenti concludenti, costanti e inequivoci. In tal caso, il condomino assente o dissenziente non è più legittimato a far valere la mancata natura contrattuale dei criteri di riparto, poiché ha prestato il proprio consenso successivo mediante l'adesione - pagamento senza riserve - avente efficacia negoziale vincolante.
Poiché dunque il criterio di riparto delle spese dell'acqua potabile è attualmente regolato dalla volontà contrattuale di tutti i condomini, dubitiamo che il lettore possa - quantomeno allo stato dell'attuale giurisprudenza - invocare l'azione generale di arricchimento di cui all'articolo 2041 Codice civile, che presuppone l'inesistenza di una giusta causa.
Nel condominio in cui abito alcuni appartamenti hanno entrata autonoma e altri hanno invece entrata condominiale dal vano scala, che è accatastato come bene comune indivisibile a favore di tutti i condomini e nel quale si trovano i contatori per il cancello elettrico e le pompe per i garagi sotterranei. Anche l'androne è accatastato come bene comune indivisibile e contiene il quadrone da levare quando è necessario pulire la vasca della fognatura.
La pulizia del vano scala e dell'androne deve essere pagata solo da chi ha l'entrata condominiale o anche da chi invece è dotato di una propria entrata?
Lettera Firmata - RECANATI
I condomini che hanno entrata autonoma utilizzano il vano scala e l'androne in misura ridotta.
In via equitativa va addebitata una quota ridotta di spesa.
Le spese di pulizia delle scale (e lo stesso è da dirsi per la pulizia del vano scala e dell'androne) vanno ripartite dall'assemblea, la quale potrà decidere con criteri equitativi, motivando in ragione dell'utilità che il bene comune è destinato a dare a ciascun condomino (si veda Corte di cassazione, sentenza 19 febbraio 1993, n. 2018).
Nel mio palazzo, alcuni condomini tengono il televisore acceso ad alto volume fino alle tre del mattino, con evidente disturbo della quiete. Quale azione posso intraprendere per tutelare il mio diritto al silenzio e al riposo?
Paolo Masera - MILANO
Un condomino, sia esso locatario o proprietario, accetta sempre per iscritto il regolamento condominiale al momento dell'atto d'acquisto o al momento della firma del contratto di locazione. In questo regolamento, solitamente, vi è sempre un articolo per il rispetto della quiete. Pertanto, anche senza alcuna prova fonometrica, esistono le vie legali per chiedere al suo vicino rumoroso il rispetto del regolamento nel momento in cui un altro condomino lamenta un disturbo. Tutto ciò sulla base della sentenza 10735/2001 della Corte di cassazione la quale, in un caso analogo, ha dato ragione a chi protestava per la rumorosità del vicino.
Esiste comunque la possibilità di eseguire delle prove fonometriche che diano riscontro alla lamentela. In questo caso può esserci qualche difficoltà poiché occorre eseguire le misurazioni durante il momento del disturbo. La verifica strumentale dei livelli di rumore deve essere condotta in conformità a quanto contenuto nel decreto del ministero dell'Ambiente 16 marzo 1998. Le misure vanno eseguite da un 'tecnico competente in acustica' ai sensi della legge 447/95. Questa verifica può essere effettuata dall'Arpa (Agenzia regionale per l'ambiente competente per territorio o da un privato (libero professionista). Occorre verificare sia il livello massimo delle emissioni sonore raggiunto nel suo appartamento a finestre chiuse, meglio se durante la notte e sia il criterio differenziale, ovvero la differenza di rumore che c'è con il vicino rumoroso e con il vicino non udibile. Se questa differenza, durante la notte, fosse superiore a tre decibel allora si avrebbe il superamento dei limiti contenuti nel Dpcm 14 novembre 1997. Fatto ciò occorre segnalare l'esito della verifica fonometrica al vicino chiedendo un immediato intervento o per la riduzione delle sue emissioni, ivi compreso lo spostamento al periodo diurno di certe attività rumorose, o per l'incremento del potere fonoisolante dei suoi setti interunità (pareti e pavimenti). Se ciò non dovesse dare esito positivo le suggerisco di farsi consigliare da un avvocato.
Sono proprietario di una casetta composta da tre vani, di cui uno al piano terra e due al primo piano. Al secondo piano c'è un appartamentino, dotato di terrazzo a uso esclusivo con funzione di copertura. Le unità fanno parte di un corpo di costruzione che si sviluppa in lunghezza, con analoghe caratteristiche. L'inverno scorso si sono verificate infiltrazioni d'acqua; eliminata la causa (verosimilmente si trattava dell'occlusione di un tombino di scarico), quest'inverno si è ripresentato l'inconveniente, la cui causa potrebbe dipendere dal logoramento della copertura a mattoni. Quali strumenti e azioni posso intraprendere nei confronti del condominio e del proprietario soprastante per far sì che si provveda a eliminare una volta per tutte le infiltrazioni e a ripristinare - laddove mai esista - la guaina bituminosa? Inoltre, come andrebbe ripartita la spesa della riparazione?
Roberto Mussina - GARBAGNATE MILANESE
Le spese per la manutenzione, riparazione e ricostruzione del tetto e dei suoi accessori (grondaie, pluviali, cornicioni, eccetera) vanno ripartite secondo le quote millesimali di comproprietà di tutti i condomini, in base al disposto dell'articolo 1123, primo comma, del Codice civile. Nel caso si tratti di spesa urgente, il lettore potrà fare eseguire le relative opere a sue spese chiedendo poi il rimborso (pro-quota) all'altro condomino, ai sensi dell'articolo 1134 del Codice civile. Diversamente, dovrà rivolgersi all'amministratore di condominio (nel caso questi esista) e in mancanza dovrà agire nei confronti dell'altro condomino (previa eventuale diffida ad adempiere).
In riferimento alla risposta al quesito 2625 ('Per l'elenco dei fornitori si compila il modello Ac'), pubblicato sull'Esperto risponde 50/2001, vorrei sapere su quali disposizioni si fonda il parere dell'esperto. I professionisti dell'Anaci (Associazione nazionale amministratori condomini) non hanno, fino a ora, avuto indicazioni in proposito; anzi, l'orientamento degli stessi è diretto all'indicazione dei veri fornitori del servizio assicurativo e non degli esattori, produttori, agenti, sub-agenti o broker.
Ernesto Steffano - MILANO
Il comma 9 dell'articolo 7 del Dpr 29 settembre 1973, n. 605, come modificato dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, pone a carico degli amministratori di condominio l'obbligo di comunicare annualmente, all'anagrafe tributaria, l'ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio. Tra questi beni e servizi rientrano anche i premi di assicurazione versati alle compagnie per le garanzie prestate sulle parti e impianti comuni condominiali: ciò è confermato anche dal decreto del ministero delle Finanze del 12 novembre 1998.
Quanto all'individuazione del fornitore dei servizi assicurativi - se per fornitore debba intendersi la compagnia di assicurazione o l'agente assicurativo - è opinione comune che l'intento perseguito dal legislatore con le norme fiscali richiamate fosse quello di combattere l'evasione e l'elusione fiscale, non tanto nei confronti delle compagnie di assicurazione - il cui onere fiscale è conteggiato nel premio di assicurazione - quanto nei confronti degli agenti assicurativi. Ci rendiamo ben conto che l'agente ha solo l'onere di promuovere per conto della compagnia la conclusione di contratti in una zona determinata (articolo 1742 del Codice civile), che l'agente non ha neppure facoltà di incassare i premi, se questa facoltà non gli è stata attribuita (articolo 1744 del Codice civile), e che i premi riscossi appartengono alla compagnia e non all'agente. Al di là, tuttavia, del dato civilistico, non si può prescindere dalla finalità fiscale delle norme richiamate, che è quella di pervenire a un incrocio di dati, con scopi antielusivi che riguardano più gli agenti che le compagnie assicurative. E', comunque, evidente che, in assenza di precise prese di posizione da parte dell'amministrazione finanziaria, entrambe le tesi sono sostenibili.
Quanto alle sanzioni fiscali a carico del condominio: laddove sia provata la responsabilità all'amministratore, sarà questi e non il condominio a essere assoggettato alle sanzioni fiscali.
L'assemblea condominiale decide a maggioranza (articolo 1136, comma 4, del Codice civile) di eseguire lavori di rifacimento della facciata e di altre parti comuni del condominio, in avanzato stato di degrado.
A questo scopo incarica un'architetto di redigere il computo metrico estimativo nonchè il capitolato d'appalto.
Nella successiva assemblea, dopo l'approvazione del capitolato d'appalto, l'assemblea, sempre con la stessa maggioranza, al fine di raccogliere i preventivi, delibera di 'incaricare l'amministratore di sottoporre il capitolato a imprese ritenute dallo stesso affidabili, escludendo dalla partecipazione all'appalto preventivi presentati dai condomini'. E' legittima questa delibera, ovvero il singolo condomino ha sempre il diritto di presentare in assemblea i preventivi che si è procurato?
Alessia Barzaghi - GIUSSANO
L'assemblea in materia è sovrana. La delibera di escludere i preventivi presentati dai condomini di minoranza in linea di principio è legittima.
Tuttavia, i condomini possono sempre controllare l'operato dell'amministratore che accetti preventivi onerosi. Il singolo condomino può presentare in assemblea i preventivi che si è procurato.
L'assemblea, previamente convocata, a norma di legge, nella sua sovranità potrebbe revocare le precedenti decisioni e stabilire nuovi criteri per la scelta dell'impresa, salvo ovviamente che nel frattempo l'amministratore non abbia già stipulato un contratto d'appalto per l'esecuzione dei lavori.
Siamo proprietari di un seminterrato a uso ufficio di circa 240 metri quadri e abbiamo 160 millesimi di proprietà. L'assemblea dei condomini ha deciso di rifare la facciata del palazzo e l'amministratore ha precisato che la nostra parte di spesa verrà calcolata in base ai millesimi di proprietà.
Tenuto conto che la nostra incidenza sulla facciata (essendo un seminterrato) è di circa 40 metri quadri su circa 300 di superficie totale, è giusto che ci vengano addebitati 160 millesimi?
Gruppo Sinergia Srl - MILANO
Per accertare l'esatta portata degli obblighi del lettore, è preliminarmente necessario esaminare le disposizioni del regolamento condominiale contrattuale, in materia di parti comuni e di riparto delle spese. Ove il regolamento contrattuale nulla disponga, deve tenersi presente che i muri perimetrali dell'edificio sono parti comuni e che la facciata dell'edificio, composta da tali muri, è di proprietà indivisa per quote ideali tra tutti i condomini, sicché questi ultimi sono tenuti a concorrere, in ragione delle proprie quote millesimali, alle spese per la sua conservazione, manutenzione e riparazione. In questo senso, la sentenza della Cassazione 30 gennaio 1998 n. 945 ha precisato che 'la facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, e, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell'ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell'articolo 1117, n. 1, del Codice civile, ricade necessariamente tra le parti oggetto di comunione tra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferentemente al servizio di tutte queste porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari, in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà'.
A ripartizione separata e parziale delle spese potrà farsi luogo solo nel caso previsto dall'ultimo comma dell'articolo 1123 del Codice civile, e cioè quando il condominio sia costituito da distinti corpi di fabbrica e i lavori interessino uno solo di essi (Tribunale di Monza, 2 ottobre 1984).